Vietare lo sci fuoripista è una contraddizione in termini. Lo sci infatti è nato molto prima delle piste, come strumento di trasporto per permettere gli spostamenti su terreni innevati. Inventato migliaia di anni fa, ad oggi non esiste altro mezzo meccanico che permetta la stessa libertà di spostamento sulla neve. Nessun gatto delle nevi o motoslitta può arrivare dove arriva lo sci.
Le piste da sci invece sono una invenzione relativamente recente legata alla variazione d’uso dello sci stesso: da mezzo di trasporto a strumento di divertimento.
Nel corso degli ultimi 50 anni l’approccio verso questa disciplina sportiva è cambiato radicalmente. Non sono poi così lontani i tempi in cui i primi pionieri sciavano con lunghissimi sci in legno e scarponi in cuoio utilizzando rudimentali impianti di salita.
In pochi anni l’evoluzione è stata enorme: i comprensori sciistici si sono ingranditi a dismisura, gli impianti di risalita sono diventati molto più veloci e continuano ad incrementare la loro capacità di portare più persone. Le montagne sono state stravolte e violentate con la creazione di bacini artificiali per la raccolta dell’acqua da utilizzare per la programmazione dell’innevamento. Ampie zone di deforestamento volte ad ampliare le piste e sopratutto montagne letteralmente sbancate da bulldozer che hanno omogeneizzato le pendenze ed eliminato sporgenze ritenute potenzialmente pericolose.
Gli sci hanno cambiato forma e con loro è cambiata radicalmente la tecnica, rendendo molto più facile ed intuitivo l’approccio alle curve.
L’innevamento artificiale garantisce sempre una copertura omogenea delle piste che ogni notte sono levigate dai gatti delle nevi. Sempre più spesso capita di vedere montagne totalmente prive di neve naturale disegnate con strisce bianche di neve artificiale.
Possiamo paragonare lo sci moderno ad un parco giochi dove il divertimento e i percorsi sono prestabiliti e nessuno spazio è lasciato all’immaginazione. Lo sciatore sa che troverà sempre la stessa neve perfetta e si potrà divertire a tracciare sempre le stesse curve il cui raggio è stato determinato da chi ha progettato lo sci.
In questo scenario non c’è spazio per chi vede lo sci ancora come una volta, per chi preferisce affondare gli sci in mezzo metro di neve polverosa o discendere ripidi canali incastonati in mezzo alle rocce.
E sui social media si infuriano le polemiche quando uno di questi sciatori provoca una slavina magari rimettendoci la pelle.
Non c’è dubbio che in montagna esistano rischi oggettivi che lo sciatore esperto deve saper valutare e prevenire. Purtroppo l’imprevisto è sempre in agguato: può capitare di sbagliare le valutazioni e chi va fuoripista è ben conscio del rischio che corre.
Giusto o sbagliato la polemica è del tutto sterile: è giusto l’atteggiamento del milanese imbruttito che va a sciare solo sulle piste con il suo completino all’ultima moda o quello del giargianese che si lancia in discese mozzafiato che gli fanno ribollire il sangue?
Per risolvere il dilemma dovremmo forse guardare a quello che succede oltreoceano, negli Stati Uniti.
In Utah, ad esempio, hanno una concezione totalmente diversa di fuoripista. All’interno del comprensorio sciistico infatti ci sono le classiche discese per i milanesi imbruttiti (definite “groomed)” ma anche quelle che noi definiremmo fuoripista. Itinerari non battuti all’interno del comprensorio dove la neve non è sparata, non è lisciata o preparata: gobbe, polvere, cunette, slalom tra boschi fitti e canali a 50° di pendenza sono tutti leciti e ben segnalati. Se uno di questi itinerari è chiuso c’è un buon motivo e non perché vietano il fuoripista in maniera generica.
Fuori dai comprensori sciistici viene classificato come “backcountry” ed in questo caso non ci sono limitazioni o imposizioni. Solo avvertimenti sui pericoli oggettivi che lo sci comporta.
Forse sarebbe ora di capire che non tutti vogliono lo sci come lo ha concepito il milanese imbruttito. Il Giargianese fuoripista non va demonizzato bensì incentivato e regolamentato all’interno dei comprensori e lasciato libero di seguire il suo destino sulle montagne incontaminate.